Lele Sacchi in consolle @ Magazzini Generali - 2002

Lele Sacchi in consolle @ Magazzini Generali - 2002

Lele Sacchi

Dagli uffici della Ninja Tune di Londra dove entrava, rollava e bookava artisti per il vecchio Tunnel al Panorama Bar facendo diventare internazionali i Magazzini Generali

Il comune denominatore della carriera di Lele Sacchi è la radio. Grazie a lei si è appassionato alla musica e ancora oggi diffonde l’elettronica nelle sue più diverse forme su Radio2 con il programma In The Mix. In una Milano particolarmente ricettiva, dalla consolle del vecchio Tunnel, Lele ha vissuto il fermento musicale degli anni 90 e ha visto l’ascesa delle attuali superstar dj della techno e dell’house ospitandole tutte ai Magazzini Generali, dov’era resident e direttore artistico. Grazie alla serata Jetlag, con lui in consolle e con una forte squadra di pubbliche relazioni, il locale di via Pietrasanta è diventato importante nella mappa del clubbing internazionale. Amante non solo dell’elettronica Lele frequentava anche locali rock e hip hop e ci racconta una parte della notte meneghina.
Come direbbe la Vale, la vocalist che introduceva i dj ai Magazza: “Benvenuti e buonasera, Jetlaag, in consolle questa notte Lele Sacchi deejeeaaa.”

 

Come ti sei avvicinato alla musica e successivamente alla consolle?
Ho avuto la fortuna di avere un fratello e una sorella molto più grandi di me. Mia sorella studiava pianoforte e suonava tutti i pomeriggi alcune ore, mio fratello aveva una collezione di dischi rock. Si può dire che abbia allenato le orecchie a suoni interessanti sin da bambino e, appena ho avuto la cognizione di poter scegliere da solo, ho saltato di netto la musica italiana e la musica leggera per puntare dritto alla categoria “altro”. Da pre-adolescente, a Pavia, passavo ore in una radio locale dove mio fratello si occupava di sport. La programmazione musicale aveva un taglio decisamente rock e all’epoca (anni 80) significava sia i classiconi del decennio precedente che la new wave e il post-punk del momento. Ovviamente c’era un’enorme parete piena di vinili, i piatti, il mixer, le collezioni di riviste musicali da sfogliare. Ci passavo interi pomeriggi. Il paradosso era che nonostante la programmazione improntata al nuovo e lontana dai canoni più commerciali la radio era di proprietà della curia e si trovava in un locale accessibile dall’abside di una chiesa! È stata davvero un’esperienza “religiosa” che a dieci o undici anni lascia una traccia indelebile.

Che generi suonavi e dove suonavi all’inizio? Oltre a essere appassionato di musica ti piaceva anche andare a ballare? Cosa pensavi e come vivevi le discoteche da adolescente?
Come dicevo prima le prime esperienze “pubbliche” con la musica non sono state da dj in discoteca ma in radio (attorno ai 16 anni mi diedero finalmente uno spazio di un’ora a settimana!) e con alcuni articoli sulla rivista Rumore i cui uffici di allora si trovavano proprio a Pavia la città dove sono nato e cresciuto. All’epoca (più di vent’anni fa) era profondamente diverso da oggi e anche in provincia esistevano i negozi di dischi (nel mio caso il mitico Maximum Records) specializzati solo negli import di wave/alternative inglesi e americani.

Lele Sacchi (con la maglietta rossa di Screamadelica) & friends a Pavia nel 1993
Lele Sacchi (con la maglietta rossa di Screamadelica) & friends a Pavia nel 1993

In più abitavo a soli 25 minuti di treno da Milano, le bigiate con i compagni (fortunatamente tutti patiti di musiche “altre”) ci portavano immancabilmente da Supporti Fonografici, Merak, Zabriskie Point, Psycho… . Ti parlo di 1991/92/93, prima di fare il dj quando ascoltavo musiche alternative che andavano dall’hardcore-punk (mia prima passione) all’alternative-rock, dall’indie inglese all’elettronica dei primi ’90 stile Orb, Orbital, R&S, Warp, Aphex Twin eccetera, fino al fenomenale hip hop di quegli anni, il migliore di sempre.

Come da manuale del buon alternativo all’epoca del liceo non consideravo le “discoteche” un luogo interessante per la musica, magari ci si faceva un giro il sabato per dare un occhio alle ragazze ed aspettare di ballare quegli unici due/tre brani che sentivamo più “nostri”. La figata vera di quel periodo era andare a vedere concerti o a serate elettroniche più underground come quelle che facevano in Conchetta/Cox 18. I centri sociali e i locali alternativi da live tipo lo Zimba o il City Square o il Rolling li sentivo molto più miei sia per le proposte musicali che per l’apertura a tutti i tipi di persone e stili rispetto alle discoteche. Inoltre c’era il fenomeno del primissimo rap italiano (le “posse”) e della nuova musica italiana, un momento di fermento assoluto. Le “disco” invece, tranne eccezioni sicuramente importanti, ma pur sempre casi rari, erano ancorate ad uno stile ereditato dagli anni 80 fatto di specchi, camicie bianche e scarpe eleganti. Magari mettevano buona musica house, però culturalmente rimanevano sul livello dei film di Vanzina o, nei casi più “trasgressivi”, su quelli di Tinto Brass. Se non eri un fighetto ti sentivi completamente fuori luogo.

Nel 1993 sono andato per la prima volta in Inghilterra con l’obiettivo di visitare finalmente luoghi, locali e festival per me mitologici e conosciuti attraverso le pagine delle riviste musicali (tutte le settimane all’edicola della stazione si aspettava l’arrivo di NME e Melody Maker). Arrivato a Londra leggo di Andrew Weatherall in consolle al Drum Club, serata fondata dagli omonimi produttori techno. Per me Weatherall era un’icona soprattutto per il lavoro di produttore con le band, per la sua parte di lavoro su “Screamadelica” dei Primal Scream. Mi aspettavo un mix fra indie ed elettronica, ma all’epoca lui era già nella fase Sabres of Paradise e quindi spinse una session di techno e progressive molto underground, molto dritta e anche abbastanza scura. Fu un’illuminazione che ha cambiato la percezione di come pensavo la musica. Alla fine della nottata camminai chilometri per tornare al bed & brakfast dove dormivo pensando che quello era ciò che avrei voluto fare nella vita. Il dj.

Non ho mai smesso di ascoltare ed amare un ampio spettro di musiche, ma da quel momento era chiaro che ‘mettere i dischi’ sarebbe stata la mia forma di espressione.

I centri sociali e i locali alternativi da live tipo lo Zimba o il City Square o il Rolling li sentivo molto più miei sia per le proposte musicali che per l’apertura a tutti i tipi di persone e stili rispetto alle discoteche.

Nel 1994/95 tutto ha iniziato a prendere forma e nell’ottobre del 1995 ho avuto la mia prima residenza (al neonato Tunnel) e le mie prime serate pagate. In quel periodo la “novità” era il breakbeat, il nu-funk e il drum’n’bass. Tutti i suoni dal ritmo spezzato. Suonavo le produzioni della Ninja Tune, Mo’ Wax, Talkin’ Loud, Wall Of Sound ecc….. I primissimi Chemical Brothers (ancora addirittura Dust Brothers!) e ovviamente il drum’n’bass, dalla Moving Shadow alla Metalheadz, dalla V recordings alla Ram ecc….. Sembrava un suono sbarcato all’improvviso da una nave aliena.
Poi nel 97/98 lasciando totalmente il d’n’b mi son spostato verso l’house più deep, un ritorno visto che amavo già l’elettronica con cassa in quattro già da prima (etichette come Nuphonic, Glasgow Underground, Guidance, Classic, Prescription, Large, Solid, Filter…) e su quella più elettronica e tech dell’epoca (labels come Ovum, Circulation, 2020Vision, Playhouse, Pagan, certi UR, Planet E…). Da quel momento in poi sono state variazioni sul tema!

Quali sono state le prime persone che ti hanno accompagnato nel tuo percorso artistico?

Centrino del vinile "Dancing in the Darkness" di Boogie Drama, 2006 - Was Not Was
Centrino del vinile “Dancing in the Darkness” di Boogie Drama (Lele Sacchi & Sandiego, 2006 – Was Not Was

Ce ne sono tante: i primi passi nel music business li devo a Claudio Sorge di Rumore che mi ha dato la libertà di esprimere qualsiasi cazzata da dicianovenne sparassi, Alessandro Cavalla del Tunnel mi ha dato la prima possibilità di essere resident in un locale (ed è stato il migliore locale dell’epoca), Painè Cuadrelli con cui ho condiviso i primissimi anni in consolle e mi ha insegnato tanto della tecnica da dj. Successivamente Coccoluto mi ha fatto capire gli aspetti del clubbing più legato alle discoteche, Rocco Pandiani mi ha preso a lavorare alla Right Tempo introducendomi così al mondo della discografia, Giancarlo Soresina mi ha portato ai Magazzini Generali di allora. Poi il compare Sandiego per la condivisione delle produzioni musicali come Boogie Drama per anni e poi tutta la strada successiva insieme. Sono arrivato solo al 2000 e ce ne sarebbero sicuramente ancora altri….

Pensando ai giorni più recenti ovviamente la crew di Elita per tutto il lavoro fatto insieme.

Quest’estate partirai con un tour per festeggiare i tuoi 20 anni di carriera, proviamo a ripercorrerli dietro e davanti la consolle. Il Tunnel è stato il primo locale che ti ha visto come dj resident, raccontaci com’era il club (anche architettonicamente). Raccontaci qualche aneddoto legato ad alcune serate del Tunnel, ad esempio la serata meglio riuscita e inaspettata e quella peggiore…
Esteticamente era solo leggermente differente da quello attuale: il bancone bar era dal lato opposto ed ovviamente non aveva tutte quelle migliorie tecniche che abbiamo visto negli ultimi anni, ma inevitabilmente la struttura “a tunnel” non è modificabile e quindi molto simile. Ciò che era radicalmente differente era il periodo storico. Il Tunnel è nato nel 1995 e fino al 2000 ha rappresentato in pieno tutto ciò che di buono c’era negli anni 90: la creatività ruspante e un po’ naif, l’eclettismo culturale, i tentativi di trasformare in lavoro “vero” quelle passioni che sembravano antitetiche al mondo “reale” e mainstream. Gran parte della musica, grafica, video, visuals e stile estetico (tattoo e piercing per esempio) che oggi ci circondano e diamo per scontati sono figlie di espressioni artistiche che hanno fatto il balzo fuori dalle cantine in quel decennio.

tesseretunnel

Il Tunnel degli inizi costava pochissimo, per i primi due anni bastava avere la tessera annuale per entrare, era aperto sei giorni su sette e spessissimo (il primo anno non chiuse mai) era stracolmo anche in giornate come il martedì o il mercoledì. La fusione fra l’anima live e quella della dirompente “dj/club culture” dell’epoca era unica ed esemplare. Il primo anno ero resident di venerdì e suonavo prima, in mezzo e dopo i due show dal vivo. Mi capitava di mettere breakbeat, drum’n’bass o cose simili mentre una parte di pubblico era lì per vedere Vinicio Capossela o gli Skunk Anansie. Funzionava alla grande.

Provo nostalgia per la spontaneità “naif” con cui mi approcciavo al mondo della notte. A vent’anni andavo a Londra, suonavo il campanello dell’ufficio della Ninja Tune, entravo, rollavo e proponevo una residenza a Milano con i loro artisti a cifre irrisorie.

Incredibilmente accettavano! Poi tornavo a Milano, ci facevamo un culo esagerato di promozione, ma fino alla mezzanotte/una della serata non eravamo certi di quanta gente sarebbe arrivata. Non avevamo uno storico, non esistevano i social network, la musica era nuova, i nomi anche. Io e Painè ci rintanavamo in quel microbackstage che esiste ancora e a mezzanotte e mezza mettevamo fuori la testa e quasi sempre il locale era miracolosamente murato!


Com’era la città di Milano a metà degli anni 90? Quali erano gli altri locali? Che musica si poteva sentire in giro?
Sono stati anni molto coinvolgenti: nel giro di pochi mesi nel 1995 avevano aperto il Tunnel, i Magazzini Generali, il Gasoline più alcuni che sono durati poco come il Binario Zero e il Cargo. Tutti con una nuova identità, tipica di quegli anni, ovvero di non essere né il locale rock con solo live né la disco anni 80, ma contenitori nuovi, ibridi, dove dominavano le nuove musiche e le nuove tendenze. Al contempo continuavano ad andare fortissimo quelli che già esistevano da anni: il Plastic era sempre il Plastic con la sua storia e la sua stravaganza che amiamo, il Rolling Stone, il City Square (poi diventato Propaganda e ora Lime Light) e lo Zimba (ex Prego e Odissea 2001 in Forze Armate) erano i posti per i live indie/rock/reggae/hip-hop (e anche dj set del genere). Il Soul 2 Soul in via Castelfidardo aveva un’atmosfera che ti faceva sentire a casa con il meglio della musica black, ci si andava spessissimo. C’era il Bataclan in Moscova dove si ballava funk. Il Factory a San Siro fece un paio di stagioni ottime. Poi è arrivato il The Base (l’attuale Amnesia), un fenomeno per la house, ma era già il finire del decennio.


Questi erano i principali locali veri e propri, ma un gran parte delle cose più innovative (e anche divertenti) succedevano nei centri sociali e negli spazi alternativi: Pergola Tribe aveva un sound system incredibile ed ha portato in città dj-set unici (ricordo la prima volta di Dj Hype come fosse ieri), Cox 18 con tutta la sua storia legata anche all’elettronica cyber e alla musica live, ma anche luoghi più ‘vetusti’ come il Leoncavallo (già in via Watteau) o il Garibaldi erano vivissimi con concerti, djset, mostre, serate….

Dal lato opposto c’erano invece le ‘disco’ tradizionali tipo Hollywood, Shocking, Lizard che magari durante la settimana cercavano di proporre anche una serata musicalmente interessante, ma non si schiodavano dalle abitudini di prezzi alti, ‘noscarpedatennis’, fighettismo dilagante e becero.

Questo per quanto riguarda i luoghi, ma la creatività si respirava dal numero di artisti che giravano e si incontravano tutte le sere: i Casino Royale erano nel loro momento magico fra qualità e successo, erano motivo di orgoglio per tutti noi e coniugavano benissimo tutte le tendenze musicali del momento, i rapper e il movimento hip hop era fresco e in subbuglio (Kaos, Bassi, Enzo, Chief, Gruff, Neffa…), i La Crus, gli Afterhours, il giro Vox Pop, Ghittoni e compagnia, la Right Tempo e il giro acid jazz.

Poi ovviamente tutti i dj house: Bruno Bolla, Leo Mas, Colombo, JackmasterPez, Stefano Fontana, Massimino più quelli non house, da un lato Nicola Guiducci al Plastic dall’altro Painè, Dj Em, Rush, Indy, Lele Prox, Vito War poi Tommaso Toma e Carlo Villa per l’indie.

Non dimentichiamoci dell’importanza che all’epoca aveva ancora l’industria discografica e Milano ne era la capitale. Non c’erano solo le major: era vivissimo il mondo delle distribuzioni indipendenti, tutte in via Mecenate e dintorni (Dig-It, Flying, Discomagic, Venus, Self, White&Black, Levelone, Family Affair), dove entravano ed uscivano migliaia e migliaia di dischi da tutto il mondo ogni settimana e dove nascevano le produzioni indipendenti italiane. Se passavi da Mecenate il giorno degli arrivi dei dischi import trovavi in un colpo solo tutti i dj e produttori italiani.

La rubrica Nu-Perspective di Lele Sacchi su numero del 1999 di Discoid, storico magazine musicale per dj e appassionati
La rubrica Nu-Perspective di Lele Sacchi su numero del 1999 di Discoid, storico magazine musicale per dj e appassionati

Successivamente sei approdato ai Magazzini Generali, come ci sei arrivato? Ci sono stati altri locali prima? Anche qui raccontaci com’era il club e che linea musicale seguiva? Come nasce la one night Jetlag? A cosa è dovuto secondo te il successo di questa serata?
Ai Magazzini sono arrivato nel 2000, dopo le residenze al Tunnel e dopo il Gasoline. Nel 1998/99 ho iniziato una nuova serata deep-house al Gasoline di via Bonnet che si chiamava I Love America ed era basata sull’idea di creare un vero e proprio club come quelli che frequentavo a Londra, dove la musica era underground e la serata era frequentata non solo da appassionati di dj culture ma da persone con tanti interessi. Tant’è che l’abbiamo messa insieme io, Luca Merli che è un fotografo e regista e Annamaria Negri che era una makeup artist. All’inizio aveva una residenza Coccoluto poi inserimmo anche altri artisti. Fu un successo immediato. Una ventata fresca che rappresentava bene una nuova generazione di creativi di tutti i tipi, dai nuovi giovani della moda (penso al giro di persone che era vicino ad Antonioli) a tutti i musicisti che passavano da Milano, i grafici, i fotografi e tantissimi semplici fancazzisti.

Flyer I Love America @ Gasoline 1999
Flyer I Love America @ Gasoline 1999

A quel punto hanno iniziato a chiamarmi per fare dj set alle sfilate, come ospite in radio, in televisione, come modello per marchi di vestiti. Avevo pubblicato la mia prima compilation, curavo la distribuzione di etichette discografiche in White&Black e avevo anche iniziato a produrre musica.

Diciamo che non ero più “underground” come prima e così è arrivata la telefonata
di Giancarlo Soresina e Lele Tessarolo dei Magazzini Generali per chiedermi se volevo diventare dj e consulente del locale che stava diventando IL club di Milano.

Flyer di ottobre 2000 di Jetlag
Flyer di ottobre 2000 di Jetlag

La serata Jetlag esisteva già, ma non aveva un’identità musicale ed era percepita solo come appuntamento gay. Quando sono arrivato abbiamo preso la decisione di farlo diventare un punto di riferimento della club music migliore, programmando anche una lista di ospiti ben calibrata fra nomi di richiamo e nuovi giovani talenti. Inoltre si era formato un gruppo di pr fenomenale, quasi tutti dal mondo della moda ‘vero’, quello di chi lavora davvero in quel campo. Erano ancora tutti ragazzi con un entusiasmo e una vitalità strabordante. Alle pubbliche relazioni c’era Marcelo Burlon, che ha avuto un ruolo fondamentale, e tanti altri: ricordo Vale, Andrew, Andreas, Maurino, all’inizio il gruppo Billy, poi la Raffaella. Parlo del primissimo periodo del Jetlag, poi ovviamente la famiglia si è estesa.