Lele Sacchi in consolle @ Magazzini Generali - 2002

Lele Sacchi in consolle @ Magazzini Generali - 2002

Lele Sacchi

Dagli uffici della Ninja Tune di Londra dove entrava, rollava e bookava artisti per il vecchio Tunnel al Panorama Bar facendo diventare internazionali i Magazzini Generali

Il comune denominatore della carriera di Lele Sacchi è la radio. Grazie a lei si è appassionato alla musica e ancora oggi diffonde l'elettronica nelle sue più diverse forme su Radio2 con il programma In The Mix. In una Milano particolarmente ricettiva, dalla consolle del vecchio Tunnel, Lele ha vissuto il fermento musicale degli anni 90 e ha visto l'ascesa delle attuali superstar dj della techno e dell'house ospitandole tutte ai Magazzini Generali, dov'era resident e direttore artistico. Grazie alla serata Jetlag, con lui in consolle e con una forte squadra di pubbliche relazioni, il locale di via Pietrasanta è diventato importante nella mappa del clubbing internazionale. Amante non solo dell'elettronica Lele frequentava anche locali rock e hip hop e ci racconta una parte della notte meneghina.
Come direbbe la Vale, la vocalist che introduceva i dj ai Magazza: "Benvenuti e buonasera, Jetlaag, in consolle questa notte Lele Sacchi deejeeaaa."

 

Come ti sei avvicinato alla musica e successivamente alla consolle?
Ho avuto la fortuna di avere un fratello e una sorella molto più grandi di me. Mia sorella studiava pianoforte e suonava tutti i pomeriggi alcune ore, mio fratello aveva una collezione di dischi rock. Si può dire che abbia allenato le orecchie a suoni interessanti sin da bambino e, appena ho avuto la cognizione di poter scegliere da solo, ho saltato di netto la musica italiana e la musica leggera per puntare dritto alla categoria "altro". Da pre-adolescente, a Pavia, passavo ore in una radio locale dove mio fratello si occupava di sport. La programmazione musicale aveva un taglio decisamente rock e all’epoca (anni 80) significava sia i classiconi del decennio precedente che la new wave e il post-punk del momento. Ovviamente c’era un’enorme parete piena di vinili, i piatti, il mixer, le collezioni di riviste musicali da sfogliare. Ci passavo interi pomeriggi. Il paradosso era che nonostante la programmazione improntata al nuovo e lontana dai canoni più commerciali la radio era di proprietà della curia e si trovava in un locale accessibile dall’abside di una chiesa! È stata davvero un’esperienza "religiosa" che a dieci o undici anni lascia una traccia indelebile.

Che generi suonavi e dove suonavi all'inizio? Oltre a essere appassionato di musica ti piaceva anche andare a ballare? Cosa pensavi e come vivevi le discoteche da adolescente?
Come dicevo prima le prime esperienze "pubbliche" con la musica non sono state da dj in discoteca ma in radio (attorno ai 16 anni mi diedero finalmente uno spazio di un’ora a settimana!) e con alcuni articoli sulla rivista Rumore i cui uffici di allora si trovavano proprio a Pavia la città dove sono nato e cresciuto. All’epoca (più di vent’anni fa) era profondamente diverso da oggi e anche in provincia esistevano i negozi di dischi (nel mio caso il mitico Maximum Records) specializzati solo negli import di wave/alternative inglesi e americani.

Lele Sacchi (con la maglietta rossa di Screamadelica) & friends a Pavia nel 1993
Lele Sacchi (con la maglietta rossa di Screamadelica) & friends a Pavia nel 1993

In più abitavo a soli 25 minuti di treno da Milano, le bigiate con i compagni (fortunatamente tutti patiti di musiche "altre") ci portavano immancabilmente da Supporti Fonografici, Merak, Zabriskie Point, Psycho... . Ti parlo di 1991/92/93, prima di fare il dj quando ascoltavo musiche alternative che andavano dall’hardcore-punk (mia prima passione) all’alternative-rock, dall’indie inglese all’elettronica dei primi ’90 stile Orb, Orbital, R&S, Warp, Aphex Twin eccetera, fino al fenomenale hip hop di quegli anni, il migliore di sempre.

Come da manuale del buon alternativo all’epoca del liceo non consideravo le "discoteche" un luogo interessante per la musica, magari ci si faceva un giro il sabato per dare un occhio alle ragazze ed aspettare di ballare quegli unici due/tre brani che sentivamo più "nostri". La figata vera di quel periodo era andare a vedere concerti o a serate elettroniche più underground come quelle che facevano in Conchetta/Cox 18. I centri sociali e i locali alternativi da live tipo lo Zimba o il City Square o il Rolling li sentivo molto più miei sia per le proposte musicali che per l'apertura a tutti i tipi di persone e stili rispetto alle discoteche. Inoltre c’era il fenomeno del primissimo rap italiano (le "posse") e della nuova musica italiana, un momento di fermento assoluto. Le "disco" invece, tranne eccezioni sicuramente importanti, ma pur sempre casi rari, erano ancorate ad uno stile ereditato dagli anni 80 fatto di specchi, camicie bianche e scarpe eleganti. Magari mettevano buona musica house, però culturalmente rimanevano sul livello dei film di Vanzina o, nei casi più "trasgressivi", su quelli di Tinto Brass. Se non eri un fighetto ti sentivi completamente fuori luogo.

Nel 1993 sono andato per la prima volta in Inghilterra con l’obiettivo di visitare finalmente luoghi, locali e festival per me mitologici e conosciuti attraverso le pagine delle riviste musicali (tutte le settimane all'edicola della stazione si aspettava l’arrivo di NME e Melody Maker). Arrivato a Londra leggo di Andrew Weatherall in consolle al Drum Club, serata fondata dagli omonimi produttori techno. Per me Weatherall era un’icona soprattutto per il lavoro di produttore con le band, per la sua parte di lavoro su "Screamadelica" dei Primal Scream. Mi aspettavo un mix fra indie ed elettronica, ma all’epoca lui era già nella fase Sabres of Paradise e quindi spinse una session di techno e progressive molto underground, molto dritta e anche abbastanza scura. Fu un’illuminazione che ha cambiato la percezione di come pensavo la musica. Alla fine della nottata camminai chilometri per tornare al bed & brakfast dove dormivo pensando che quello era ciò che avrei voluto fare nella vita. Il dj.

Non ho mai smesso di ascoltare ed amare un ampio spettro di musiche, ma da quel momento era chiaro che ‘mettere i dischi’ sarebbe stata la mia forma di espressione.

I centri sociali e i locali alternativi da live tipo lo Zimba o il City Square o il Rolling li sentivo molto più miei sia per le proposte musicali che per l'apertura a tutti i tipi di persone e stili rispetto alle discoteche.

Nel 1994/95 tutto ha iniziato a prendere forma e nell’ottobre del 1995 ho avuto la mia prima residenza (al neonato Tunnel) e le mie prime serate pagate. In quel periodo la "novità" era il breakbeat, il nu-funk e il drum’n’bass. Tutti i suoni dal ritmo spezzato. Suonavo le produzioni della Ninja Tune, Mo’ Wax, Talkin’ Loud, Wall Of Sound ecc..... I primissimi Chemical Brothers (ancora addirittura Dust Brothers!) e ovviamente il drum’n’bass, dalla Moving Shadow alla Metalheadz, dalla V recordings alla Ram ecc..... Sembrava un suono sbarcato all’improvviso da una nave aliena.
Poi nel 97/98 lasciando totalmente il d’n’b mi son spostato verso l'house più deep, un ritorno visto che amavo già l’elettronica con cassa in quattro già da prima (etichette come Nuphonic, Glasgow Underground, Guidance, Classic, Prescription, Large, Solid, Filter...) e su quella più elettronica e tech dell’epoca (labels come Ovum, Circulation, 2020Vision, Playhouse, Pagan, certi UR, Planet E...). Da quel momento in poi sono state variazioni sul tema!

Quali sono state le prime persone che ti hanno accompagnato nel tuo percorso artistico?

Centrino del vinile "Dancing in the Darkness" di Boogie Drama, 2006 - Was Not Was
Centrino del vinile "Dancing in the Darkness" di Boogie Drama (Lele Sacchi & Sandiego, 2006 - Was Not Was

Ce ne sono tante: i primi passi nel music business li devo a Claudio Sorge di Rumore che mi ha dato la libertà di esprimere qualsiasi cazzata da dicianovenne sparassi, Alessandro Cavalla del Tunnel mi ha dato la prima possibilità di essere resident in un locale (ed è stato il migliore locale dell’epoca), Painè Cuadrelli con cui ho condiviso i primissimi anni in consolle e mi ha insegnato tanto della tecnica da dj. Successivamente Coccoluto mi ha fatto capire gli aspetti del clubbing più legato alle discoteche, Rocco Pandiani mi ha preso a lavorare alla Right Tempo introducendomi così al mondo della discografia, Giancarlo Soresina mi ha portato ai Magazzini Generali di allora. Poi il compare Sandiego per la condivisione delle produzioni musicali come Boogie Drama per anni e poi tutta la strada successiva insieme. Sono arrivato solo al 2000 e ce ne sarebbero sicuramente ancora altri....

Pensando ai giorni più recenti ovviamente la crew di Elita per tutto il lavoro fatto insieme.

Quest'estate partirai con un tour per festeggiare i tuoi 20 anni di carriera, proviamo a ripercorrerli dietro e davanti la consolle. Il Tunnel è stato il primo locale che ti ha visto come dj resident, raccontaci com'era il club (anche architettonicamente). Raccontaci qualche aneddoto legato ad alcune serate del Tunnel, ad esempio la serata meglio riuscita e inaspettata e quella peggiore...
Esteticamente era solo leggermente differente da quello attuale: il bancone bar era dal lato opposto ed ovviamente non aveva tutte quelle migliorie tecniche che abbiamo visto negli ultimi anni, ma inevitabilmente la struttura "a tunnel" non è modificabile e quindi molto simile. Ciò che era radicalmente differente era il periodo storico. Il Tunnel è nato nel 1995 e fino al 2000 ha rappresentato in pieno tutto ciò che di buono c’era negli anni 90: la creatività ruspante e un po’ naif, l’eclettismo culturale, i tentativi di trasformare in lavoro "vero" quelle passioni che sembravano antitetiche al mondo "reale" e mainstream. Gran parte della musica, grafica, video, visuals e stile estetico (tattoo e piercing per esempio) che oggi ci circondano e diamo per scontati sono figlie di espressioni artistiche che hanno fatto il balzo fuori dalle cantine in quel decennio.

tesseretunnel

Il Tunnel degli inizi costava pochissimo, per i primi due anni bastava avere la tessera annuale per entrare, era aperto sei giorni su sette e spessissimo (il primo anno non chiuse mai) era stracolmo anche in giornate come il martedì o il mercoledì. La fusione fra l’anima live e quella della dirompente "dj/club culture" dell’epoca era unica ed esemplare. Il primo anno ero resident di venerdì e suonavo prima, in mezzo e dopo i due show dal vivo. Mi capitava di mettere breakbeat, drum’n’bass o cose simili mentre una parte di pubblico era lì per vedere Vinicio Capossela o gli Skunk Anansie. Funzionava alla grande.

Provo nostalgia per la spontaneità "naif" con cui mi approcciavo al mondo della notte. A vent’anni andavo a Londra, suonavo il campanello dell’ufficio della Ninja Tune, entravo, rollavo e proponevo una residenza a Milano con i loro artisti a cifre irrisorie.

Incredibilmente accettavano! Poi tornavo a Milano, ci facevamo un culo esagerato di promozione, ma fino alla mezzanotte/una della serata non eravamo certi di quanta gente sarebbe arrivata. Non avevamo uno storico, non esistevano i social network, la musica era nuova, i nomi anche. Io e Painè ci rintanavamo in quel microbackstage che esiste ancora e a mezzanotte e mezza mettevamo fuori la testa e quasi sempre il locale era miracolosamente murato!


Com'era la città di Milano a metà degli anni 90? Quali erano gli altri locali? Che musica si poteva sentire in giro?
Sono stati anni molto coinvolgenti: nel giro di pochi mesi nel 1995 avevano aperto il Tunnel, i Magazzini Generali, il Gasoline più alcuni che sono durati poco come il Binario Zero e il Cargo. Tutti con una nuova identità, tipica di quegli anni, ovvero di non essere né il locale rock con solo live né la disco anni 80, ma contenitori nuovi, ibridi, dove dominavano le nuove musiche e le nuove tendenze. Al contempo continuavano ad andare fortissimo quelli che già esistevano da anni: il Plastic era sempre il Plastic con la sua storia e la sua stravaganza che amiamo, il Rolling Stone, il City Square (poi diventato Propaganda e ora Lime Light) e lo Zimba (ex Prego e Odissea 2001 in Forze Armate) erano i posti per i live indie/rock/reggae/hip-hop (e anche dj set del genere). Il Soul 2 Soul in via Castelfidardo aveva un’atmosfera che ti faceva sentire a casa con il meglio della musica black, ci si andava spessissimo. C'era il Bataclan in Moscova dove si ballava funk. Il Factory a San Siro fece un paio di stagioni ottime. Poi è arrivato il The Base (l'attuale Amnesia), un fenomeno per la house, ma era già il finire del decennio.


Questi erano i principali locali veri e propri, ma un gran parte delle cose più innovative (e anche divertenti) succedevano nei centri sociali e negli spazi alternativi: Pergola Tribe aveva un sound system incredibile ed ha portato in città dj-set unici (ricordo la prima volta di Dj Hype come fosse ieri), Cox 18 con tutta la sua storia legata anche all’elettronica cyber e alla musica live, ma anche luoghi più ‘vetusti’ come il Leoncavallo (già in via Watteau) o il Garibaldi erano vivissimi con concerti, djset, mostre, serate....

Dal lato opposto c’erano invece le ‘disco’ tradizionali tipo Hollywood, Shocking, Lizard che magari durante la settimana cercavano di proporre anche una serata musicalmente interessante, ma non si schiodavano dalle abitudini di prezzi alti, ‘noscarpedatennis’, fighettismo dilagante e becero.

Questo per quanto riguarda i luoghi, ma la creatività si respirava dal numero di artisti che giravano e si incontravano tutte le sere: i Casino Royale erano nel loro momento magico fra qualità e successo, erano motivo di orgoglio per tutti noi e coniugavano benissimo tutte le tendenze musicali del momento, i rapper e il movimento hip hop era fresco e in subbuglio (Kaos, Bassi, Enzo, Chief, Gruff, Neffa...), i La Crus, gli Afterhours, il giro Vox Pop, Ghittoni e compagnia, la Right Tempo e il giro acid jazz.

Poi ovviamente tutti i dj house: Bruno Bolla, Leo Mas, Colombo, JackmasterPez, Stefano Fontana, Massimino più quelli non house, da un lato Nicola Guiducci al Plastic dall’altro Painè, Dj Em, Rush, Indy, Lele Prox, Vito War poi Tommaso Toma e Carlo Villa per l’indie.

Non dimentichiamoci dell’importanza che all’epoca aveva ancora l’industria discografica e Milano ne era la capitale. Non c’erano solo le major: era vivissimo il mondo delle distribuzioni indipendenti, tutte in via Mecenate e dintorni (Dig-It, Flying, Discomagic, Venus, Self, White&Black, Levelone, Family Affair), dove entravano ed uscivano migliaia e migliaia di dischi da tutto il mondo ogni settimana e dove nascevano le produzioni indipendenti italiane. Se passavi da Mecenate il giorno degli arrivi dei dischi import trovavi in un colpo solo tutti i dj e produttori italiani.

La rubrica Nu-Perspective di Lele Sacchi su numero del 1999 di Discoid, storico magazine musicale per dj e appassionati
La rubrica Nu-Perspective di Lele Sacchi su numero del 1999 di Discoid, storico magazine musicale per dj e appassionati

Successivamente sei approdato ai Magazzini Generali, come ci sei arrivato? Ci sono stati altri locali prima? Anche qui raccontaci com'era il club e che linea musicale seguiva? Come nasce la one night Jetlag? A cosa è dovuto secondo te il successo di questa serata?
Ai Magazzini sono arrivato nel 2000, dopo le residenze al Tunnel e dopo il Gasoline. Nel 1998/99 ho iniziato una nuova serata deep-house al Gasoline di via Bonnet che si chiamava I Love America ed era basata sull’idea di creare un vero e proprio club come quelli che frequentavo a Londra, dove la musica era underground e la serata era frequentata non solo da appassionati di dj culture ma da persone con tanti interessi. Tant’è che l’abbiamo messa insieme io, Luca Merli che è un fotografo e regista e Annamaria Negri che era una makeup artist. All’inizio aveva una residenza Coccoluto poi inserimmo anche altri artisti. Fu un successo immediato. Una ventata fresca che rappresentava bene una nuova generazione di creativi di tutti i tipi, dai nuovi giovani della moda (penso al giro di persone che era vicino ad Antonioli) a tutti i musicisti che passavano da Milano, i grafici, i fotografi e tantissimi semplici fancazzisti.

Flyer I Love America @ Gasoline 1999
Flyer I Love America @ Gasoline 1999

A quel punto hanno iniziato a chiamarmi per fare dj set alle sfilate, come ospite in radio, in televisione, come modello per marchi di vestiti. Avevo pubblicato la mia prima compilation, curavo la distribuzione di etichette discografiche in White&Black e avevo anche iniziato a produrre musica.

Diciamo che non ero più "underground" come prima e così è arrivata la telefonata
di Giancarlo Soresina e Lele Tessarolo dei Magazzini Generali per chiedermi se volevo diventare dj e consulente del locale che stava diventando IL club di Milano.

Flyer di ottobre 2000 di Jetlag
Flyer di ottobre 2000 di Jetlag

La serata Jetlag esisteva già, ma non aveva un’identità musicale ed era percepita solo come appuntamento gay. Quando sono arrivato abbiamo preso la decisione di farlo diventare un punto di riferimento della club music migliore, programmando anche una lista di ospiti ben calibrata fra nomi di richiamo e nuovi giovani talenti. Inoltre si era formato un gruppo di pr fenomenale, quasi tutti dal mondo della moda ‘vero’, quello di chi lavora davvero in quel campo. Erano ancora tutti ragazzi con un entusiasmo e una vitalità strabordante. Alle pubbliche relazioni c’era Marcelo Burlon, che ha avuto un ruolo fondamentale, e tanti altri: ricordo Vale, Andrew, Andreas, Maurino, all’inizio il gruppo Billy, poi la Raffaella. Parlo del primissimo periodo del Jetlag, poi ovviamente la famiglia si è estesa.

Il successo fu clamoroso, epocale. Figlio di un equilibrio che avviene anche un po’ per fortuna: stavano insieme i gay, i ragazzi tarati di house e clubbing, gli alternativi, gli ex-punk, le modelle, stilisti famosissimi e i ragazzi di strada e da centro sociale. Non c’era un privé con selezione (ma c’era un backstage di cui è meglio non parlare...), non c’erano "i tavoli" e quell’allure da mega-loft newyorkese dei Magazzini (prima dell'attuale ristrutturazione) veniva sfruttato perfettamente.

Aneddoti di quegli anni ce ne sono moltissimi, svariati non raccontabili perché ne potrebbe andare di mezzo la reputazione di persone anche moooolto famose

Inutile farti la lista dei regular, coloro che non si perdevano ogni singolo venerdì ed erano o sono diventati dei punti di riferimento mondiale nei propri campi. Apparirei come un cacciaballe, ma era così.

Nei primissimi anni io facevo una lista dei dj’s che ritenevo fondamentali e poi le decisioni finali le prendevo con Soresina e Tessarolo. Ma non era il guest dj a rendere magica la prima epoca di Jetlag, era l’insieme.

La tua figura è fondamentale per i Magazzini, ricordo benissimo le tue session mensili di 5 ore e i tuoi set di apertura a star internazionali, quali sono gli oneri di un dj resident? Spiegaci un po' la figura del dj resident che in Notte Italiana è una figura chiave perché, salvo casi eccezionali, nei locali che raccontiamo non c'erano dj guest.
Viviamo in un momento in cui si può dire che la figura storica del "dj resident" quasi non esista più. Negli ultimi anni il mondo della club culture è cambiato radicalmente. Per anni però, il resident rappresentava il locale e il locale era una delle fonti più importanti di conoscenza musicale per la comunità di riferimento che lo frequentava. Ora il locale è stato sostituito dal web, ovvero un luogo astratto. I locali che hanno fatto la storia del clubbing (e i Magazzini sono uno di questi) creavano un fortissimo senso di appartenenza, una tribù che sull’andare più o meno sempre nello stesso luogo costruiva una ritualità. Inevitabilmente il resident dj era spesso più amato anche dei guest perché costruiva l’identità musicale e quindi il fattore principale di un locale notturno.

Lele Sacchi all night long @ Magazzini Generali 2003
Lele Sacchi all night long @ Magazzini Generali 2003

 

Flyer Row Barcellona 2001
Flyer Row Barcellona 2001

Quando poi un club diventava riconosciuto su scala più ampia di quella locale (nazionale ed internazionale) anche il dj resident diventava famoso. Parliamo di anni in cui la diffusione del web era agli inizi e i social network non esistevano, quasi tutto partiva dal racconto diretto delle esperienze personali.

Grazie alla fama che in quegli anni hanno avuto i Magazzini, insieme alle compilation che avevo pubblicato e alle prime produzioni, io ho iniziato a suonare molto spesso in giro per l’Italia e per il mondo. Oggi sono veramente pochissimi i club che riescono a spingere i propri dj, i resident, e li rendono famosi.
In concomitanza ai Magazzini e al successo di Jetlag cosa succede a Milano di Notte? Ci sono degli eventi che hanno segnato il clubbing meneghino?
C’è stato un momento in cui al Jetlag, direi verso il 2003 e soprattutto il 2004, ci siamo aperti sempre di più alla programmazione di guest. Se all’inizio erano un paio al mese, poi son diventati tre più una mia session solitaria mensile. In quel momento è arrivata l’ondata irresistibile di nuovi artisti sulla scena: da un lato quelli più electro alla Tiesfschwarz e Tiga dall’altro quelli più minimal alla Steve Bug e Villalobos e inoltre scomparve la linea divisoria che esisteva fra house e techno, perciò uno Sven Vath, che magari fino all’anno prima non avremmo considerato adatto, voleva venire da noi perché sapeva che pur essendo una serata di matrice house tutto si era mischiato.


In quel momento a Milano è iniziato a cambiare tutto di nuovo, sulla scena è comparsa una marea, un oceano di ragazzi molto giovani e molto appassionati di "nuova" musica elettronica e inevitabilmente sono comparsi tantissimi altri promoter - chi nuovo e appassionato, chi riciclato e con l’occhio al cassetto - a buttarsi su questi fenomeni.

 

Jetlag @ Magazzini Generali 2005
Jetlag @ Magazzini Generali 2005

Raccontaci qualche aneddoto legato a qualche serata dei Magazzini, ad esempio la serata meglio riuscita e inaspettata e quella peggiore, ospitate insolite e dj che non si vogliono più staccare dalla consolle. Io ricorderò sempre Dj Hell che non vuole smettere di suonare e ruota le casse spia verso i fortunati del privé andando avanti a suonare
per altri 20 minuti, Magda Gomez che balla scatenata su un set techno di Marco Carola, Villalobos che prima di iniziare si fuma un cilum o ancora Richie Hawtin che suona per scarse 300 persone....

Questa che dici di Hawtin me la ricordo benissimo ovviamente! Era una domenica. Avevamo avuto l’idea di fare un intero weekend di chiusura stagionale. Tiga due giorni prima aveva murato il locale e fatto saltare per aria tutti. Hawtin era già in Italia (il venerdì era stato a Dissonanze a Roma e il Sabato al Link di Bologna) e la domenica era una bella occasione per provare una serata di chiusura diversa. Ci saranno state 4/500 persone. Incredibile pensarlo oggi che Richie è così famoso, ma allora era in una fase in cui si portava ancora dietro un po' dei vecchi fan di Plastikman (technomani un po’ tarati e quasi avversi al ballo) e pochi nuovi arrivati di questa generazione di cui parlavamo più su. Nessun promoter "big" tradizionale avrebbe mai fatto Richie ai tempi. Lo proponevano solo i luoghi alternativi tipo, appunto, il Link o gli eventi di Napoli. Oggi invece per lui fanno aste a cifre stellari anche le grandi agenzie pop.

Aneddoti di quegli anni ce ne sono moltissimi, svariati non raccontabili perché ne va
della reputazione di persone anche moooolto famose!

L’altro giorno ascoltando Roisin Murphy mi sono ricordato di quella volta che stavo suonando nella vecchia consolle dei Magazza (quella a sinistra) e mentre sono tutto concentrato mi sento battere sulla spalla e non voltandomi del tutto sento una voce femminile inglese che mi chiede se può avere il microfono per cantare. Ovviamente non mi giro neanche praticamente mandandola affanculo. Dopo alcuni minuti arriva qualcuno che mi dice: “Oh ma cosa voleva Roisin Murphy da te prima?” ....ooopssss.....

Lele Sacchi, Ricardo Villalobos, Luca Piccolo (Orbeat) Jetlag @ Magazzini Generali
Lele Sacchi, Ricardo Villalobos, Luca Piccolo (Orbeat) Jetlag @ Magazzini Generali

Sugli aneddoti dei dj non parlo, sono omertosissimo, però è stato buffo Sven in una delle sue primissime visite: lo accompagno di corsa in bagno per una pipì mentre lascia suonare un disco sul piatto e tornando di corsa verso la consolle prima che termini il brano mi chiede se possiamo bere uno shot, gli rispondo di tirare dritto al mixer prima di creare un buco e che glielo avrei portato in consolle ma lui continuò a insistere dicendo che preferiva fermarsi nascosto dietro al bar altrimenti sua moglie (che era in consolle) lo avrebbe sgridato.
Gli aneddoti seri che mi ricordo ancora te li racconto di persona.

Piano piano il tuo nome inizia a girare anche in Italia c'è un club in cui hai
particolarmente piacere suonare?

Fuori da Milano ci sono stati posti dove sono tornato spesso ed è ovvio che siano quelli dove tuttora mi piace suonare di più: Goa a Roma, il Clorofilla in Puglia, il Ritual in Sardegna, posti che non ci sono più che erano clamorosi come il Velvet a Napoli o il vecchio Link a Bologna o il Maffia a Reggio Emilia.
Il Goa rimane un faro in Italia per l’integrità di percorso e per la qualità offerta. Anche loro compiono vent'anni e auguro a Giancarlino e tutta la banda di andare avanti almeno per altri venti. La club culture ne ha bisogno.

negli anni (i primi 2000) in cui frequentavo e suonavo spesso a Parigi ho scoperto che le cassette dell’Insomnia avevano creato il movimento underground di quella città.

2002 Flyer del Batofar di Parigi
2002 Flyer del Batofar di Parigi

Ripercorrendo la storia del clubbing italiano su Notte Italiana mi sembra di capire che l'Italia abbia davvero poco da invidiare ad altri paesi; penso alla Baia degli Angeli, ai primi after tra la riviera romagnola e il veneto, al movimento progressive. Cosa ne pensi tu della storia dell'intrattenimento nostrano?

Della riscoperta di momenti storici così all’avanguardia dobbiamo ringraziare proprio il web che ha permesso di mettere insieme i pezzi e ricostruire storie importanti come quella del movimento cosmic/afro che per ragioni di età mi sono perso, ma che vedo giustamente glorificato in tutto il mondo. Lo stesso vale per il periodo della techno-progressive toscana: negli anni (i primi 2000) in cui suonavo spesso a Parigi ho scoperto che le cassette dell’Insomnia avevano creato il movimento underground di quella città. Pensa: una delle più grandi capitali del mondo che si innamora di dj set registrati nella profonda provincia italiana!

La techno napoletana di fine 90 poi è stato un altro movimento riconosciuto globalmente, ricordo una visita ad Amsterdam nel 1999 in cui mi parlavano tutti di Marco Carola mentre da noi era considerato strettamente underground! Sappiamo che global star sia oggigiorno.

Non dimentichiamoci neanche dell’impatto dei promoter italiani su Ibiza: il DC10 in fin dei conti è un progetto di clubbing italiano in trasferta ed è una potenza mondiale. La lista sarebbe lunghissima e dovrebbe comprendere l’acid jazz che ha avuto delle figure prominenti dal nostro paese e tante altre piccole/grandi scene.


La verità è che non dovremmo neanche stupirci, no? Se lo facciamo e perché ci è mancato un momento alla ‘french touch’ di fine ’90 o quello trance olandese più recente quando contemporaneamente e in modo massiccio hanno avuto successo tanti artisti e dischi dello stesso paese. I nostri successi sono stati forse più estemporanei e slegati fra loro, pur essendoci sempre stati.

Cosa ci rimane secondo te di tutto questo patrimonio di dj e serate?
Rimane un mercato dei club ancora molto diffuso, forte e storicamente radicato, soprattutto se lo compariamo a tantissimi altri grandi paesi. Quello che manca e manca parecchio è la varietà dell’offerta su scala nazionale. Al di fuori di Milano, qualcosa a Roma e poco altro in Italia funziona solo la tech-house con punte verso la house più tradizionale da un lato e verso la techno più pesa (molto di moda ora) dall’altro. Qualcosa ultimamente muove anche la EDM, ma non conosco bene quel mondo. La dj culture e il clubbing però non sono solo questo: dovrebbero esistere molte più sfaccettature musicali. Su questo la scena Italiana è limitata. Inoltre mancano tante etichette discografiche indipendenti spinte e prodotte con sudore e amore. Ce ne sono troppo poche.

Ora tra i progetti che ti impegnano di più c'è Elita, ci racconti com'è nasce? Se non sbaglio prende il posto di quella manifestazione che si chiamava TDK Dance Marathon che ti ha visto protagonista sempre come dj dei Magazzini Generali...io della TDK ricordo un party meraviglioso ma non proprio sicuro nei parcheggi sotterranei di San Siro con gli Alter Ego e Jennifer Cardini...

Programma TDK Dance Marathon 2004
Programma TDK Dance Marathon 2004

Elita è un’idea che nel 2005 ha fatto unire: Dino Lupelli che veniva già da un’esperienza di festival grande come Elettrowave, Alioscia Bisceglia che oltre ad essere il cantante dei Casino Royale aveva una piccola società che si occupava di produzione di eventi, Manfredi Romano che prima di essere un famoso dj (Dj Tennis) e label manager (Life And Death) ha sempre promosso e gestito artisti internazionali e qualche anno dopo si è aggiunto Claudio Fagnani con il suo bagaglio di esperienze nel marketing e negli eventi. L’idea iniziale è stata quella di creare un festival di contenuti non solo musicali in concomitanza con il fuorisalone.
Come sai con il tempo Elita è cresciuta e diventata anche tante altre cose, ma
l’aspetto festival è quello più riconosciuto dal pubblico. Essendoci storicamente posizionati nella settimana del Salone nell’anno in cui smise la TDK Dance Marathon si può dire che c'è stata una continuità con l’idea di un percorso di musica nella città (io facevo il consulente musicale per la TDM). Dopodiché i paragoni terminano perché quello era un progetto assolutamente differente nell'idea di partenza e negli intenti commerciali, anche se molto bello e nuovo per Milano con alcuni momenti che son passati alla storia, come puoi vedere dal flyer.
Elita, però, a distanza di dieci anni dalla prima edizione è diventata un’esperienza che ha dato e sta dando tantissimo a Milano e che è riconosciuta proprio per aver costruito grandi momenti di socialità, di musica, di cultura e aver dato impulsi molto importanti.

Flyer di Elita 2006
Flyer di Elita 2006

Tra l'organizzazione di Elita, i dj set e le partite dell'Inter, l'altra tua grande passione oltre alla musica, ora devi trovare anche il tempo per fare il papà, che musica fai sentire a tuo figlio? Che consigli gli darai quando vorrà andare a ballare? Ma sopratutto, come sarà la discoteca del futuro?
Fare il papà è ovviamente una gioia immensa e per ora Leo è ancora così piccolo che
non sono ancora cominciati quei giochi malati, tipici dei genitori, su che indirizzi dargli. Fortunatamente per ora esiste solo la gioia del gioco e dello stare insieme. Da quel poco che vedo mi sembra portato sia per il ballo che per il calcio. Spero diventi una promessa dell’Inter così non avrò il problema di dove andrà a ballare perché dovrà svegliarsi presto per gli allenamenti! In più sono patrigno di una bambina che invece ha già quasi sette anni, quindi sul tema della discoteca del futuro, visto che non ti so rispondere, ti dico che fra neanche una decina d’anni se non sarò più dietro al mixer cercherò di capirlo direttamente tramite lei. In realtà è molto più probabile che sia ancora lì a farla ballare.