LUCA VITONE wears LOUIS VITONE for ™®√€. photo by Floriana Giacinti

LUCA VITONE wears LOUIS VITONE for ™®√€. photo by Floriana Giacinti

Luca Vitone

Incursioni artistiche (e non solo) al Link Project. Intervista a Luca Vitone

a cura di Emanuele Zagor Treppiedi

Nonostante fosse un collaboratore esterno, l’artista e grande amico di Daniele Gasparinetti, Luca Vitone ha contribuito appassionatamente allo sviluppo del Link dal punto di vista dell’arte visiva. Organizzava il festival Incursioni, ma se c’erano da fare le 6 del mattino ballando nelle sale del Link, non si tirava indietro e conosceva tutti. In questa intervista ci ha detto che il Link a metà anni 90 era il posto più hype d’Italia, ci trovavi dai Mouse On Mars alle riprese delle puntate di “Un posto al sole”.

 

EMANUELE ZAGOR TREPPIEDI: COME HAI INIZIATO A COLLABORARE CON IL LINK PROJECT?
LUCA VITONE: Io e Daniele (Gasparinetti – n.d.r.) ci siamo conosciuti sui banchi del Dams e siamo diventati subito amici.
Daniele mi aveva coinvolto per quello che riguardava l’aspetto delle arti visive e mi aveva fatto molto piacere perché così potevo tornare a Bologna, che per me era un po’ come tornare a casa. Oltre a incontrare Daniele e Silvia (Fanti – n.d.r.) la collaborazione con il Link mi permetteva di incontrare anche altre persone a cui ero molto legato.

Ma facciamo una genealogia di come io sono arrivato al Link. Io e Daniele ci siamo conosciuti nell’85 al primo giorno di Dams, uno accanto all’altro, vicini di banco. Poi successivamente io ho iniziato a fare le mie mostre e le mie opere, senza finire scioccamente l’università. Così ho lasciato Bologna e mi sono trasferito a Milano nell’autunno del 90. Dopotutto Bologna non è una città che offre molte occasioni per l’arte contemporanea, c’è Arte Fiera a gennaio e la Galleria Neon, dove ho esposto anche io nel 90, ma non c’è molto altro. Quindi non avevo molte occasioni per tornare a Bologna e Daniele lo vedevo molto raramente.

Io ormai lavoravo come artista, il lavoro si era avviato ed ero abbastanza contento (con tutte le frustrazioni di un artista perché alla fine non va mai come uno vorrebbe) e comunque non avevo voglia di ritrasferirmi da Milano (dove stavo con la mia fidanzata Emi Fontana) a Bologna. Così con l’incarico datomi da Daniele, io facevo da redattore esterno per il Link, anche perché nessuno si occupava di arte visiva.

Quando Daniele mi ha invitato e ho capito che luogo stava nascendo e stavano creando, avevo anche capito che se io volevo lavorare con le arti visive (che canonicamente usano un dispositivo temporale di mesi in cui viene esposta una mostra in uno spazio espositivo) non dovevo usare gli stessi meccanismi e tempistiche, ma dovevo fare delle cose più simili a quello che succedeva solitamente al Link, quindi cose di una sera. Così decisi di collaborare.

 

 

Si è partiti quindi con l’idea di fare un festival, quindi un festival performativo, con interventi che potevano durare da 5 minuti a 5 ore. Il periodo dell’anno migliore per farlo era durante la fiera dell’arte contemporanea, anche perché finita la fiera i curiosi potevano venire a vedere qualcosa di diverso di sera da noi. Tutto per fare in modo anche che si portasse al Link a un pubblico diverso o semplicemente più ampio.

Si apriva alle 22 e si poteva stare da noi assistendo a un altro tipo di programmazione. E questa è stata un’idea che ha funzionato, tant’è che gente ne passava.

Ricordo i racconti di quelle persone che erano venute a tutte le edizioni di Incursioni vantandosi di essersi fatti tutte le serate.

C’era un anziano collezionista che si chiamava Paolo Consolandi: milanese, notaio, influente e facoltoso che aveva iniziato a comprare negli anni in cui Manzoni era ancora giovane e Fontana era ancora vivo e ha continuato a comprare fin quando non è morto nel 2010. Lui era anche un amico (che ha anche comprato delle mie opere) per cui c’era una certa stima reciproca e tutte le sere di Incursioni, nonostante fosse un quasi ottantenne, c’era. Era conosciuto anche da Vittorio il ragazzo che stava sempre all’ingresso del Link.

Quindi Incursioni prese sempre più piede e divenne un appuntamento fisso: finita la fiera si veniva a passare la notte al Link per vedere dell’arte diversa.

QUAL ERA L’ESIGENZA CHE VI HA SPINTO A ORGANIZZARE INCURSIONI?
L.V.: In poche parole c’era il bisogno di raccontare degli accadimenti artistici a cui nessun altro stava dando visibilità. Quindi c’era prima di tutto l’esigenza di fare qualcosa che riguardasse l’arte in maniera diversa da un museo. Chiunque chiamavi doveva riadattare il suo lavoro in forma performativa, che poteva andare dalla conferenza allo slide show passando per i video. Poi se diventavano operazioni teatrali o musicali era ancora meglio. Dai concerti all’asta, alla conferenza, il gioco era di farlo coinvolgendo tutto lo spazio, dall’esterno ai servizi interni.

ECONOMICAMENTE COME PERMETTEVATE AL FESTIVAL DI SOSTENERSI?
L.V.: Soldi non ce n’erano e se non sbaglio nelle quattro edizioni di Incursioni non abbiamo mai pagato nessuno. Nel senso che non potevamo dare un cachet, ma abbiamo sempre pensato a trasporti e ai costi relativi alla produzione della performance. L’artista era ospitato in casa di qualcuno, gli veniva pagata la cena e lo si metteva a proprio agio per fare nel migliore dei modi la performance. Poi io avevo dei free drink che distribuivo agli artisti e ad altre persone che potevano essere curatori, altri artisti, critici, giornalisti. Tieni conto che le due grandi fonti di finanziamento del Link erano i concerti e il bar, i 4 bar e vista quantità di persone che il posto muoveva nel ’96, ci si poteva permettere di organizzare un festival.

Tieni conto che le due grandi fonti di finanziamento del Link erano i concerti e il bar, i 4 bar e vista quantità di persone che il posto muoveva nel ’96, ci si poteva permettere di organizzare un festival.

Io per Incursioni ho lavorato sempre gratis, ho avuto il mio piccolo stipendio solo con Hops! nel 2000 e nel 2001. C’erano i rimborsi spese che, tra tempo investito, viaggi, telefonate, erano sempre pochi. Quello che ti muoveva era la passione e la voglia di stare al Link e, nel mio caso, quello che in quell’occasione stavo creando e vivendo.
È stato un luogo che mi ha permesso di sfogarmi anche di notte, dato che io non ero e non sono un particolare animale notturno: facevo le chiusure all’alba e bighellonavo tra una sala e l’altra, conoscevo tutti.

CHI VENIVA AL LINK?
L.V.:Man mano che tutto si consolidava hanno iniziato a venirci tutti, di ogni credo e di ogni estrazione. Tra il ‘97 e ‘99 il Link era il posto più hype d’italia, tu avevi tutto: dalla cosa pop di livello e di qualità, non ovviamente lo standard di mercato, alla cosa di ipernicchia per dieci persone.