Aleph by G.T.Garattoni Gabicce, 1986

Aleph by G.T.Garattoni Gabicce, 1986

L’Aleph di Giovanni Tommaso Garattoni

Design e grafica del "locale vuoto come te"

L’Aleph a Gabicce inaugura nel 1980 e si impone subito come club innovativo per l’architettura, la scenografia e la musica: che è la migliore new wave del periodo grazie ai dj Jano e Achille. Dopo l’idea del bunker militare con allestimenti e arredamenti “da guerra”, quella del locale completamente scarno (di Demo Ciavatti nel 1983), nel 1984 arriva Giovanni Tommaso Garattoni che fino al 1986, ultimo anno dell’Aleph, ne cura l’allestimento interno e la grafica.
L’architetto Garattoni è stato tra i fondatori del movimento italiano chiamato Bolidismo e nel suo eclettismo ha disegnato abiti maschili e borse in pelle, oltre ad aver realizzato, in occasione della manifestazione Nightwave 2000 (fiera delle discoteche, dall’abbigliamento agli impianti luci che si teneva a Rimini), il documentario esistenzialista sulla vita notturna intitolato “Disco 2000″. Di seguito, riportiamo il materiale che Giovanni ha portato in Biennale e ci racconta come ha allestito e curato la grafica dell’Aleph: il “locale vuoto come te”.

 


ALEPH – The Cult Club

Nato a Gabicce nell’estate 1980 (stesso anno dello Slego) ha contribuito dapprima a creare e poi a catalizzare la scena “underground” della Riviera Romagnola. Nell’estate 1981 ho lavorato all’Aleph come dj (una parentesi estiva dal medesimo ruolo allo Slego, aperto solo d’inverno) ma ero anche uno dei dj più importanti di Radio San Marino, che fungeva da “collante” per la scena “new wave”.
Architettonicamente, in una delle sue prime versioni, l’Aleph era completamente vuoto e rivestito interamente da piastrelle bianche ed illuminato da neon, era davvero “un colpo nello stomaco” per chi era abituato ai locali tradizionali. Tra citazioni colte (dai “subterraneans” di Jack Kerouac a quelli di David Bowie) e un’estetica da metropolitana non si può dire che fu un successo commerciale ma, insieme allo Slego, divenne la meta di un popolo notturno selezionato e internazionale. La sua distanza da Rimini, epicentro della riviera, di fatto creò il fenomeno del “nightclubbing”, anche per i numerosi ed importanti concerti.

Nel 1984 mi fu chiesto, insieme al mio “gruppo” Complotto Grafico, di intervenire sull’estetica e sull’immagine, di “ripensare” il locale a cominciare dalla grafica (vedi il manifesto della madonna e i santini dedicati, che furono i nuovi “flyer”) fino ad arrivare agli arredi, che derivavano dall’immagine grafica e a loro volta ispiravano i frequentatori. Nacque Aleph – The Cult Club. Mi sono divertito a riversare all’interno del “locale vuoto come te” (che era il motto del locale) molte delle mie “fantasticherie” di allora: a cominciare dall’estetica “vittoriana” che qualche anno dopo si sarebbe definita steampunk.

Quello che negli altri locali si chiamava privé all’Aleph (già di per se esclusivo anche per la rigida selezione all’ingresso) era la Oscar Wilde Room: evidente omaggio al “dandy” per eccellenza. Arredata con broccati (tessuto particolare nato nel XIV secolo) alle pareti, tappeti orientali, dormeuse ottocentesche (divano con basso schienale a una delle estremità) e lampade in vetro di Murano. Era un vero “palcoscenico” per i frequentatori, che erano essi stessi arredo e parte integrante dell’atmosfera.
 

 
Al bancone del bar (in marmo dipinto) c’era una mostra con una decina di grandi ritratti ottocenteschi di scuola italiana (da Boldrini a Fattori), illuminati con lampadari a goccia.
Il personale del locale, dalla direttrice artistica ai baristi, indossava un abbigliamento che spesso era di riferimento e stimolo per i clienti.
 

 

Lampada Boalum, Artemide
Lampada Boalum, Artemide

C’era una saletta laterale (fino ad allora destinata a proiezioni video) di cui purtroppo non ci sono immagini, che potremmo definire la prima “chill out room”. Era dedicata alla cultura “underground” degli anni sessanta: dalla New York della Factory ai Velvet Underground passando per architetti italiani “radicals” a cui erano dedicati arredi. Dipinta completamente di nero (l’ingresso, non semplice da superare, era formato da strisce di vinile elasticizzato) era quasi completamente buia ed arredata con alcuni pezzi “vintage” di design italiano anni sessanta, a cominciare dalla lampada “Boalum” (di Frattini e Castiglioni). Senza sedute, se non cuscini, e una colonna sonora appropriata era, a modo suo, il prototipo delle chill-out room che si sarebbero diffuse negli anni novanta.
 
Determinante fu anche la nuova immagine grafica. Per il manifesto (70×100 a cinque colori, allora un vero lusso) utilizzammo un dipinto che nell’immaginario collettivo rappresenta la “madonna per eccellenza” (La Zingarella / Roberto Ferruzzi, 1897). Dipinto che spesso era posto sul letto matrimoniale di quasi tutte le case italiane del novecento (compreso quello dei miei genitori). Attorno all’ovale c’era la “cornice techno/gotica” in oro. All’epoca ero alla ricerca di una nuova “grafica senza tempo” che fondesse diversi stimoli, magari distanti tra loro e rappresentativi degli innumerevoli impulsi simultanei presenti nella cultura “underground” e nella nascente società digitale. Amavo, però, anche utilizzare “stereotipi iconografici”. Il manifesto dell’Aleph (1984) riassume tutto questo. In origine doveva comparire la scritta “Catholic Discipline” con riferimento sia all’iconografia mariana che alla band punk californiana; prudentemente optammo per un più innocuo Peace & Love.

Aleph The Cult Club - manifesto 1984, by G.T.Garattoni
Aleph The Cult Club – manifesto 1984, by G.T.Garattoni

 
Per pubblicizzare il rinnovamento del locale e poi per le numerose feste (ancora non si chiamavano eventi) utilizzammo dei “santini” che riproducevano quadri religiosi (spesso pale d’altare) di autori italiani del sei/settecento. Questa forma di comunicazione, economica ed efficace, si sarebbe diffusa enormemente prendendo il nome di “flyer”.

 
L’Aleph fu un locale “seminale”: dal suo “giro” uscirono numerosi personaggi che avrebbero animato le notti della Riviera Romagnola (e non solo) per anni; a cominciare dal Cocoricò.